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Foto: Getty Images

Elegia interista

Come si fa a razionalizzare una sconfitta così? Come si fa chiudere una stagione così con una delusione che ti accompagnerà per i prossimi anni? Dicono che il calcio non sia importante, che sia solo uno spreco di soldi e di tempo. E nei peggiori casi, come quello dell’Inter, una fonte costante di stress. C’è rammarico per una vittoria che poteva essere e non è stata, per una gioia che poteva esplodere e non è esplosa e per una festa che poteva viversi e non è stata vissuta. Ma c’è anche orgoglio, molto. Se è vero è l’arte è una forma di speranza, allora tutti gli interisti possono accettare questa sconfitta con meno amarezza. Quella di ieri è stata uno un piccolo, incompiuto capolavoro di tattica, testa e cuore. Non si poteva chiedere di più se anche Guardiola, il miglior allenatore del mondo, ha ammesso:

Se Ederson non ci avesse messo la mano al 90′ saresti stati qui a farmi gli stessi complimenti? 

E alla fine, anche se non si è vinto, qualche merito ad Inzaghi e ai suoi ragazzi va dato. Criticati da molti per tutto l’anno, hanno dimostrato che quando si parla di Inter bisogna solo limitarsi a guardare le partite, senza ascoltare il ronzio fastidioso dei media, che poco sanno e molto inventano. Se c’è una cosa che rimane di questa partita è proprio questa: mai smettere di credere nelle capacità di chi lavora ad Appiano.

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Foto: Tom Jenkins/The Guardian

Quando si è tifosi si è consci che parte della propria felicità e tristezza non dipende da se stessi, ma da altri. è un atto di fede. Ci sentiamo coinvolti in un progetto di cui ne viviamo la grandezza anche nelle brutture e storpiature. Sappiamo di far parte di qualcosa che continuerà nel tempo. Noi, mutanti ad alta potenzialità, in questo cratere di anime dannate, chiamato stadio, siamo sempre alla ricerca di una scintilla, e sabato all’Atatürk Olympic Stadium di Istanbul l’abbiamo trovata. Se una squadra dal valore di 1,05 miliardi di euro continua a celebrare il suo portiere dopo aver affrontato una squadra che vale un terzo, fatta di parametri zero e prestiti, allora c’è tanto merito da elargire ai nerazzurri. Ora si leggeranno i se, i forse, i però; nulla di più inutile. Sabato l’Inter ha giocato la sua 57esima partita della stagione e lo ha fatto con onore. Perdere a testa alta fa male, la sconfitta rimane sempre sconfitta, ma da qui si può ripartire. Rainer Maria Rilke ha scritto:

E tutto tacque. Eppure in quel tacere
s’avanzò nuovo inizio, cenno e mutamento.

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Foto: Getty Images

Così nel silenzio tombale di una sconfitta ecco che noi tifosi vediamo un nuovo inizio. Del resto, siamo fatti così viviamo di continue illusioni e speranze. Siamo come un giovane Paul Ashworth che con lo sguardo minaccioso dice al padre “noi non supereremo mai questa fase“. Noi non supereremo mai questa fase. Ormai siamo troppo in profondità nella tana del bian coniglio, tornare indietro è infattibile. Andare avanti è l’unica mossa sensata che possiamo fare. Ci agitiamo, ma in uno stadio nessuno ci fa caso. Nessuno fa caso a come sei vestito, se sei brutto o bello, intelligente o stupido, ricco o povero. È la democrazia del tifo, dove tutti sono uguali perché tutti soffrono e gioiscono allo stesso modo. Ma è soprattutto, nella sconfitta che ci sentiamo uguali e, ammettiamolo, ci dà anche un po’ di conforto. Siamo tutti cavie di un esperimento di Tim Leary che non è mai morto, ma ci studia e sparge nell’etere psilocibina, DMT, LSD, bufotenina, mescalina, ketammina, PCP, THC e chissà quale altro allucinogeno. L’obiettivo è dimostrare che noi tifosi siamo pazzi come la nostra squadra e la pazzia non ha cura. L’errore è credere che non l’abbiamo voluto, ma per qualche strano scherzo del destino ci siamo infettati ed ora, tutti strafatti, aspettiamo che qualcosa o qualcuno ci ridia il senno dopo il fischio finale.

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