Jérémie Heitz

Precipizio della paura: Jérémie Heitz, il freerider che ha portato lo sci ai suoi limiti

Jérémie Heitz ha spinto il freeriding all’estremo. Ma con l'aumentare dei rischi, aumentano anche le domande.

Il Combin de Valsorey è una vetta rocciosa delle Alpi che si erge a circa 4.200 metri sul livello del mare, vicino al confine italo-svizzero. La sua parete nord-ovest si innalza di 670 metri, con una pendenza di circa 50 gradi. Nel maggio 2016, quando Jérémie Heitz salì per la prima volta sul Combin, la parete nord-ovest della montagna era una cortina verticale bianca, contornata da fasce di roccia scura. La salita di Heitz non fu straordinaria in termini alpinistici: questa parete fu scalata per la prima volta nel 1958 da Egbert Eigher ed Erich Vanis. Ma Heitz non stava scalando il Combin perché gli interessava salire: il suo piano era quello di scendere sciando.

Heitz, che aveva 26 anni all’epoca, è un freerider professionista, uno sciatore che trascorre il suo tempo su pendii montuosi e selvaggi, lontani dalle piste battute e dalle località turistiche. La sua specialità si trova all’estremo del freeriding, lo sci ripido: scendere su terreni con una pendenza doppia rispetto a quella di alcune piste “esperte” dei complessi sciistici. Questa attività uccide ogni anno circa il 50% dei suoi praticanti. La discesa del Combin era parte di un progetto cinematografico, La Liste, che prevedeva la discesa di alcuni dei pendii più ripidi e alti delle Alpi occidentali.

Jérémie Heitz

In cima al Combin, Heitz si trovava su una cresta di neve che si curvava come un’onda congelata. Guardò giù le nuvole nelle valli lontane. “Pronto?” qualcuno disse in radio. Un conto alla rovescia diede il segnale alla troupe cinematografica che volteggiava nelle vicinanze in elicottero: “5,4,3,2,1. Via“. Heitz scivolò lateralmente giù per i primi metri, fece una curva e poi tagliò giù sulla più alta macchia grigia di ghiaccio. Sciare sul ghiaccio di solito non è consigliato: tutti gli sciatori controllano la loro velocità facendo delle curve. È così che domano la gravità. Ma sul ghiaccio, i bordi dello sci non riescono a mordere, il che significa che non puoi girare, il che significa che non puoi rallentare: diventi un vettore, pura velocità senza controllo. Heitz credeva di poterlo gestire. Si sbagliava. Perse il controllo e cominciò a scivolare. Uno sci gli si staccò e iniziò a rotolare.

I freerider parlano della “no-fall zone”, un territorio così ripido che può risultare letale se si perde l’equilibrio. La no-fall zone è generalmente l’habitat naturale di Heitz, ma sul Combin sembrava che per un momento potesse avere la meglio su di lui, rischiando una caduta di oltre 600 metri. Fu fortunato. Il Combin è concavo, con la sezione più ripida nella parte superiore. Fu in grado di mantenere un certo controllo con lo sci che non aveva perso. Si fermò dopo essere caduto forse per 150 metri (dice che è difficile giudicare la distanza esatta).

Heitz è cresciuto nella stessa regione della Svizzera di uno dei pionieri dello sci estremo, Sylvain Saudan, che si fece un nome negli anni Sessanta e Settanta con discese di pareti montuose ritenute impossibili. L’idea di Heitz per La Liste era di rifare le rivoluzionarie discese del suo predecessore, sebbene con uno stile completamente diverso. Compilò una lista delle montagne svizzere e francesi con pareti enormemente ripide – da qui il titolo – e decise di sciare su di esse ad alta velocità.

Jérémie Heitz

La Liste fu ufficialmente presentato a Lucerna nel novembre 2016, sei mesi dopo la caduta di Heitz. Per gli standard dei film sugli sport invernali, fu un successo immediato: accumulò centinaia di migliaia di visualizzazioni online e dimostrò che Heitz era il miglior freerider del mondo. Le discese mozzafiato registrate nel film suggerivano che Heitz avesse raggiunto qualcosa di veramente nuovo in questo sport. La fusione di stile e velocità produceva scene che sono letteralmente mozzafiato. Come la scalata senza corda di Alex Honnold in Free Solo, le discese spericolate di Heitz, al tempo stesso terrificanti e belle, offrono al pubblico un’esperienza di pura sorpresa. Vederlo in pieno volo faceva sorgere il dubbio se si stesse guardando “un uomo o una cometa”, per citare Simon Akam, editorialista del The Guardian. Come il surf delle grandi onde, lo sci estremo ha sempre portato con sé una carica esistenziale: i suoi pericoli non sono accidentali o estranei, e la morte non è un raro incidente che si verifica solo quando le cose vanno terribilmente male. Doug Coombs, un americano il cui stile veniva una volta paragonato a “una goccia d’acqua che scorre lungo una parete ruvida di intonaco“, morì precipitando a La Grave nel 2006. Shane McConkey, un canadese che fu fondamentale nello sviluppo dello sport negli anni Novanta, perse la vita nel 2009 cercando di combinare lo sci con il Base jumping. La skier professionista svedese Matilda Rapaport morì in Cile nel 2016 mentre sciava per delle riprese per un videogioco sugli sport estremi. Heitz era inizialmente restio a includere le riprese della sua caduta sul Combin. Non voleva mostrare quanto fosse vicino alla morte quel giorno. Ma uno degli editori, che conosceva Heitz fin dall’infanzia, insistette sul fatto che la caduta dovesse essere nel film. Era, disse, il momento più drammatico. Heitz alla fine cedette e oggi sostiene che mostrare la sua fallibilità sullo schermo sia stato centrale per il film. La trasparenza non era l’unico pregio delle riprese: vedere Heitz inciampare e cadere, nel bel mezzo di un film pieno di performance inumane e belle, era un ricordo di quanto fosse veramente pericoloso ciò che stava facendo. 

Jérémie Heitz

Il successo di La Liste ha offerto a Heitz una fama insperata. Oggi, lo svizzero guadagna circa 300.000 franchi svizzeri (320.000€) all’anno; molti sciatori professionisti si considererebbero fortunati a guadagnare una frazione di quella cifra. Il denaro degli sponsor gli ha permesso di concentrarsi completamente sui suoi progetti cinematografici. Di solito, scia per otto mesi all’anno, dall’autunno, quando la neve si accumula per la prima volta nell’emisfero settentrionale, fino a luglio, alla fine della stagione per le zone ad alta quota. La ricerca di pareti sempre più impressionanti lo ha portato in Canada, negli Stati Uniti, in Pakistan, in Perù, in Spagna, in Giappone, in Cile, in Russia, in Turchia e in Argentina. Il principale sponsor di Heitz è la Red Bull. Quando Heitz firmò con l’azienda sapeva di essere salito a un nuovo livello. Per Heitz significava operare nello strano mondo in cui l’imperativo commerciale e l’ambizione sportiva si incontrano, con il rischio di creare un effetto vortice in cui gli atleti sono spinti verso obiettivi sempre più ambiziosi e pericolosi. La sua compagna, Louise Janssens, ha ammesso che:

A volte, mi preoccupo. Ho un’amica che ha perso il suo ragazzo, una giovane guida sul Cervino. E quando la vedo, posso solo mettermi nei suoi panni, perché la stessa cosa potrebbe chiaramente accadere a Jérémie. Non riesco a immaginare che domani non ci sarà. Quindi cerco davvero di rimanere positiva e dirmi che grazie al suo modo di sciare, grazie alla sua abilità, sarà in grado di gestire i rischi.

Heitz era sugli sci già a tre anni. A sette anni si allenava per le gare con il club locale. Lo slalom, che richiede curve rapide a raggio corto, era la sua specialità. Se qualcosa non andava bene in una gara, a volte spariva per ore nel bosco per calmarsi. Nel 2005, quando compì 16 anni, Heitz abbandonò le gare. Come Gary Hunt, altro atleta del mondo RedBull, era contrario alla rigidità delle competizioni tradizionali.

Nell’inverno successivo, entrò nell’orbita di Nico Falquet e di suo fratello Loris, due registi locali che stavano lavorando su un progetto sperimentale sullo sci notturno. All’epoca, Heitz lavorava come apprendista giardiniere, e alla fine delle sue giornate di lavoro si dirigeva verso Les Marécottes, dove sciava e filmava con i fratelli Falquet fino alle prime ore del mattino. Attraverso i Falquet, la gente ha cominciato a notare Heitz. Sono stati i Falquet ad insegnarli per la prima volta che con lo sci si poteva guadagnare. Sebbene lo sci sia classificato come uno sport individuale, sciare da soli su terreni selvaggi è profondamente sconsigliato, e le partnership sono fondamentali per le carriere dei freerider.

Nonostante tutta la libertà che gli sponsor di Heitz gli hanno fornito, è evidente che c’è un sottointeso preoccupante. Anche se le stesse aziende sostengono di non chiedere mai ai loro atleti di affrontare determinati obiettivi, la realtà è un po’ diversa. Come dice Nico Falquet, molti sciatori ritengono che se non consegni materiale che sia drammatico e bello, è probabile che il tuo contratto non venga rinnovato. Trascorrere molto tempo nel mondo di Heitz significa imbattersi in qualcosa come la normalizzazione, persino la banalizzazione della morte. Qualcosa che emerge spesso nelle conversazioni con i freerider è la nozione di rischio gestito. Gli ammiratori di Heitz amano sottolineare il suo controllo e la sua tranquillità. L’idea che la competenza e la preparazione meticolosa possano mitigare il pericolo è attraente, ma è una verità parziale. Le montagne sono ambienti imprevedibili, e la gestione del rischio valanghe rimane una scienza inesatta.

Gli incidenti, come perdere uno sci sul Grand Combin, sono tutte cose che non saranno mai cancellate dalla mia testa. Restano lì.

Jérémie Heitz

Quando Tof Henry, altra celebrità nel mondo dello sci freeride, morì nell’ottobre dell’anno scorso, il fotografo Mathurin Vauthier pubblicò un lungo post su Instagram in cui descriveva ciò che era successo a Henry e a Juan Señoret, la guida alpina che lo accompagnava. Sembrava un urlo angosciato per gli amici perduti. “Erano all’apice della loro gioia e delle ragioni per vivere. Sci ai piedi, una montagna sublime, un’alba, e con un compagno che condivideva la stessa visione“. Poi, sotto, Vauthier aggiunse: “Infine, grazie agli sponsor, senza di loro nulla sarebbe stato fatto allo stesso modo“. Difficile capire quanta consapevole ironia ci fosse in questo commento.

Oggi all’età di 34 anni, Heitz sembra aver raggiunto una consapevolezza maggiore sui rischi di quello che è il freeski. Non ha nessuna intenzione di portare i suoi sci sugli 8.000 metri, i più alti del Pianeta. Il suo obiettivo è “essere il più versatile possibile in montagna, come un coltellino svizzero“. Ecco perché è in procinto di prendere il brevetto di guida alpina.

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