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Gli Atleti di Cristo, come la chiesa evangelica si è diffusa grazie al calcio

Gli Atleti di Cristo. Questo è il nome di un’associazione cristiana evangelica composta da atleti delle discipline più diverse, che include tra i suoi membri alcuni dei più grandi campioni del calcio brasiliano. Tuttavia, l’associazione va ben oltre lo sport e nel corso degli anni è diventata così potente da influenzare anche la politica del Paese. Polemiche e fatti eclatanti hanno seguito tutto lo sviluppo di questo movimento, che, sebbene oggi sembri non essere più sotto i riflettori, continua a crescere sempre di più.

L’idea che un potente movimento evangelico possa nascere nel cattolicissimo Brasile è, di per sé, bizzarra. Tuttavia, dagli anni Ottanta, quando quasi il 90% della popolazione brasiliana dichiarava di essere cattolica, l’evangelismo si è pian piano fatto strada. Secondo una ricerca di Datafolha, la percentuale di evangelici è passata dal 6,6% nel 1982 al 31% nel 2021. Nonostante il Brasile rimanga la più grande nazione cattolica del mondo, si prevede che entro il 2032 le chiese evangeliche attireranno un numero sempre maggiore di fedeli.

Il pioniere del movimento fu il pilota di Formula 1 Alex Dias Ribeiro, che negli anni Ottanta gareggiava con la frase “Jesus Saves” ben visibile sulla carrozzeria della sua auto. Ben presto, un suo seguace divenne Joao Leite, portiere dell’Atletico Mineiro la cui missione, secondo lo stesso Leite, era quella di diffondere il messaggio di Gesù Cristo attraverso lo sport.

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Joao Leite credeva di avere una missione assegnatagli da Gesù Cristo: diffondere la parola di Dio tra gli altri giocatori.

Tra i vari episodi che si possono ricordare in merito alla sua carriera di missionario evangelico, uno risale al 1982, quando in occasione della partita contro il Cruzeiro, il portiere si avvicinò al suo avversario, Carlos Gomes, porgendogli una Bibbia e comunicandogli che Gesù lo amava. E, nonostante l’iniziale sbigottimento, poco dopo anche Gomes si unì agli Atleti di Cristo. Tuttavia, le cose non sono sempre state facili per il movimento. Lo stesso Joao Leite racconta di come all’inizio la sua decisione di giocare con una maglia che recitava “Christ Saves” fosse stata osteggiata dalla Confederazione Brasiliana di Calcio, che addirittura penalizzò l’Atletico Mineiro. Ma fu proprio quell’episodio a rendere più forte in lui il desiderio di portare a termine la sua missione.

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Cláudio Taffarel, membro degli Atleti di Cristo

Un altro evento che ha segnato la storia del movimento è legato al mondiale del 1994 e, in particolare, alla finale contro l’Italia. Quando Roberto Baggio sbagliò il calcio di rigore, cinque giocatori del Brasile, appartenenti al gruppo evangelico, festeggiarono l’errore formando un cerchio e ringraziando il Signore.

Quando Baggio ha preso la palla non avevo dubbi che avremmo vinto. Chiunque crede in Dio non perderà mai contro qualcuno che crede in Buddha.

Cláudio Taffarel, portiere della nazionale campione del mondo

Al loro primo incontro gli Atleti di Cristo erano in quattro, oggi sono circa 7.000 in 60 Paesi; Kaká, Lucio e tanti altri campioni hanno preso parte attivamente al gruppo evangelico. A differenza del passato, oggigiorno ai pastori evangelici viene concesso un accesso speciale ai campi di calcio, e, in qualche caso, sono persino entrati a far parte dell’entourage di alcuni calciatori. Dopo aver vinto la Confederations Cup in Sud Africa, Lucio e altri suoi compagni hanno indossato magliette bianche con slogan devoti come “Io amo Dio” e “Io appartengo a Gesù”. La FA danese si è lamentata pubblicamente e la FIFA, le cui regole vietano “dichiarazioni politiche, religiose o personali”, ha inviato una lettera di avvertimento alla federazione brasiliana. Nel 2010 ESPN, parlando di Ronaldinho, scrisse che non sarebbe stato convocato per i mondiali perché: “per giocare per la Seleção il calcio non basta. Bisogna essere un membro della ‘igrejinha’ (letteralmente “piccola chiesa” o “cricca”)“.

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Probabilmente è grazie al calcio che gli evangelici sono cresciuti in numero e potere in Brasile. Il presidente Jair Bolsonaro ha vinto le elezioni del 2018 con il sostegno di quasi il 70% della comunità evangelica, comprese le stelle Neymar e Rivaldo. Tanto è l’influenza di quella chiesa che Bolsonaro, nato in una famiglia cattolica, è stato ribattezzato da un pastore evangelico. L’espansione evangelica in politica può essere fatta risalire al 1986, quando iniziò a diffondersi la voce che il Brasile stesse pensando di fare del cattolicesimo la sua unica religione ufficiale. Quell’anno furono eletti 32 deputati federali evangelici. I critici collegano la crescita del movimento evangelico in politica al rafforzamento dell’agenda conservatrice e all’aumento dell’intolleranza che non lascia spazio di espressione a coloro che appartengono ad altre credenze religiose. Mentre il tasso di approvazione nazionale di Bolsonaro è recentemente sceso al 22%, molti calciatori evangelici, come Neymar, rimangono fedeli e sono visti come figure chiave nel rafforzare il suo appeal. L’ex nazionale brasiliano Walter Casagrande ha criticato più volte l’attaccante del Paris St-Germain, sostenendo che è diventato il “vassallo” del presidente verdeoro.

E ancora, quando durante la partita degli ultimi Giochi Olimpici tra Brasile e Germania, Paulinho ha segnato, è stato interessante notare la sua esultanza. Prendendo posizione contro la persecuzione religiosa, il brasiliano ha simulato il gesto di un arciere, in omaggio a Oxossi, una divinità spirituale della religione Candomble, un misto di credenze tradizionali Yoruba, Fon e Bantu originarie di diverse regioni dell’Africa, in passato praticata spesso in segreto. Anche adesso è ancora oggetto di attacchi da parte di evangelici radicali che considerano la religione satanica. Ma Paulinho sembrava determinato a ricordare a tutti i suoi connazionali che c’è ancora spazio per tutte le religioni in Brasile e nella nazionale.

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