Marzio Bruseghin

Marzio Bruseghin, il ciclista che imparò dagli asini

Sembra che talune persone, ancora prima di nascere, abbiano già impresso la consapevolezza del loro destino e del loro divenire; non a caso, talvolta, il nome che si trovano sulle spalle pare imprimere come un marchio di garanzia all’origine che la strada è già tracciata, e per quanto faticosa e piena di salite impervie, sia necessario percorrerla.   Certo è che chiamarsi Marzio non può lasciare indifferente né il protagonista né gli spettatori, e prima o poi bisogna stimolare quell’appellativo che non ha solo mera valenza etimologica, ma indica il temperamento e la missione che ci è stata assegnata. Essere Marzio in realtà, significa essere un combattente, un guerriero che il Dio Marte e gli altri si aspettano che combatta.  I guerrieri, si sa, non nascono nei castelli o nelle regge, altrimenti sarebbero prìncipi. Infatti Marzio Bruseghin da Fregona, che regale non desidera essere, viene catapultato direttamente nella Terra di Mezzo, fatta di curve tortuose, di salite maestose e scoraggianti, e di paesaggi sterminati dove l’ambiente diventa una palestra di vita che irrobustisce il fisico e rigenera l’anima. Ed è così che in questo contesto tocca a Conegliano, a Vittorio Veneto e alle Terre del Prosecco fare da chioccia al nostro combattente; il Veneto si sa, ha luoghi importanti e una natura accattivante, che aderisce perfettamente agli uomini e alle donne di spessore: marinai, montanari, contadini e commercianti. Gente dedita alla fatica, caparbia e tenace, ma anche generosa, che sa autodeterminarsi, costruire, inventare, risolvere i problemi e ricostruire. Senza mai fermarsi, neppure dopo aver raggiunto l’obiettivo, fissandone subito un altro. E Marzio Bruseghin ne rappresenta alla perfezione i tratti antropologici.

Marzio Bruseghin

Decide così che, dovendo combattere, tanto vale farlo in quei luoghi, tra la sua gente col mezzo più idoneo: la bicicletta da corsa. Ed inizia a far su e giù tra le colline di Conegliano, Valdobbiadene, Vittorio Veneto, tra le strade immerse nel bosco del Cansiglio e il Lago di Santa Croce, fino a toccare il Massiccio del Grappa., onorando così con la propria fatica e il proprio impegno tanti altri guerrieri che hanno combattuto la Grande Guerra e dato la vita per il proprio Paese. E con tenacia, fatica ed immensa umiltà, a 23 anni diventa corridore professionista nel 1997 e viene ingaggiato dalla Brescialat dove rimane per due anni. È un corridore completo, è veloce, è resistente, va forte anche in salita. È un ragazzo umile che conosce l’impegno e la fatica che servono per raggiungere il traguardo, qualunque esso sia. Insomma, non gli manca niente e a uno così gli puoi chiedere tutto, anche di rinunciare a vincere, per far vincere gli altri. Gli chiedono di fare il gregario, di aiutare a vincere il capitano della squadra. Sì è vero, lui sa di poter essere un capitano, sa di poter vincere, ma nello sport a certi livelli esistono interessi e obiettivi insindacabili e prescelti dalla volontà di altri. Marzio abbassa la testa ed esegue con la stessa dedizione di sempre, al servizio degli altri, per il bene di tutti. Il sacrificio e la fatica non lo spaventano, anzi lo stimolano. Inoltre Marzio ha anche un altro segreto: fin da ragazzo osserva gli asini, i muli; ne carpisce la testardaggine, la forza e la pazienza. Ammira questi animali per la loro forza incondizionata e caparbietà e riesce a carpirne i tanti pregi che possono aiutarlo nella vita. Sono animali intelligenti, smentendo di fatto anni di pregiudizi sociali. Gli asini sono al servizio degli altri, non si lamentano perché sono resistenti ed allenati alla fatica. L’uomo si è sempre fatto aiutare dagli asini, nelle campagne, in montagna, perfino in guerra.  Immolandosi sempre con generosità.

Non chiedono niente, ma riconoscono il prezzo della fatica, perché sono umili. Umili, come Marzio.  Ed è così che inizia ad allevarli nella sua campagna, diventando di fatto le mascotte di Marzio, tanto che ai bordi delle strade del Giro, iniziano ad apparire i primi tifosi del corridore veneto, che indossano cappelli a punta con orecchie d’asino. E dopo le bandane del Pirata, ecco le orecchie d’Asino del Bruse. Gli riesce anche questo a Marzio, rivalutare dopo anni, un animale sbeffeggiato e preso come esempio negativo dalle anziane maestre di scuola elementare: come se imparare a resistere ai valori della fatica, o insegnare l’umiltà, fossero insegnamenti da bandire. Vabbè, altri tempi.

Chissà, forse Marzio si sente un po’ come Sancho Panza, che in groppa al suo asino Rucio, quale fedele scudiero, promette, accetta e segue Don Chisciotte nelle sue avventure. E così si mette al servizio dei suoi capitani, e quando inizia a pedalare sembra non cedere mai di un millimetro nè di un secondo; è in grado di percorrere 60 km a tutta senza mai tentennare. Uno così, non può che essere uno straordinario atleta, e solo i grandi intenditori, i suoi colleghi ed il pubblico presente sulle strade italiche riescono ad ammirarne le incommensurabili doti ed il suo essere indispensabile: Marzio è in grado di mangiarsi la strada non appena si mette al servizio della squadra, ma alla gloria del vincitore preferisce il lavoro, la fatica e il cuore, dimostrando di aver imparato molto dagli asini, più di quanto gli uomini abbiano imparato dai propri simili. Tra il 2003 ed il 2005 veste la maglia della Fassa Bortolo dove la stella è Alessandro Petacchi; Marzio, pur aiutando il corridore spezzino, riesce comunque a conquistare il nono posto al Giro del 2005, di fatto superando lo stesso capitano nella classifica finale. È proprio Petacchi a definirlo Essenziale.

alessandro petacchi
Alessandro Petacchi

Nel 2006 passato alla Lampre di Saronni, Marzio dimostra anche di saper vincere, aggiudicandosi il Campionato Italiano a cronometro, giusto per far capire che, qualora ve ne fosse stato bisogno, non solo corre tanto, corre anche veloce. Nel Giro d’Italia del 2007 vince la cronoscalata da Biella al Santuario di Oropa dove sale per tredici km senza batter ciglio, mentre al Giro del 2008 si aggiudica l’ennesima crono da Pesaro a Urbino in 56’ e 41” e lasciando alle spalle Contador, Pinotti, Savoldelli e Menchov. Tutto il meglio sulla piazza del ciclismo mondiale. In quel Giro d’Italia si piazza sul podio nella classifica generale, arrivando terzo dopo il vincitore Alberto Contador e Riccardo Riccò, sotto i 3 minuti dalla vetta. Alla faccia del gregario. Nel suo palmarès: 13 Giri d’Italia dal 1998 al 2012, 7 Tour de France tra il 2002 ed il 2009 e la Vuelta a España nel 2008, nel 2010 e nel 2011. Veste 7 volte la maglia della Nazionale Italiana ai campionati del Mondo, contribuendo alla vittoria di Paolo Bettini nel 2006 e nel 2007, e contribuendo alla vittoria di Alessandro Ballan nel 2008. È tra i convocati ai Giochi Olimpici di Pechino del 2008 sia per la prova in linea che per la crono. Si ritira nel 2012 a 37 anni, avendo vestito le maglie di Brescialat, Banesto, Fassa Bortolo, Lampre, Caisse d’Epargne e Movistar.

Marzio Bruseghin piace per la sua naturalezza, il suo essere uomo tra gli uomini, il suo volto pulito da bravo ragazzo, schietto, concreto e con un raffinato senso dell’humor. Ricordo quando al termine del Giro del 2008, intervistato dalla giornalista De Stefano subito dopo l’arrivo conclusivo, in merito al suo terzo posto ammise che su di lui “non ci avrebbe scommesso neanche la mia mamma“. O quando durante un’intervista in studio del Processo al Giro affermò con orgoglio e disinvoltura e accento marcatamente veneto: “La mia mamma mi ha fatto proprio bene!“. Già la mamma, sempre ricorrente nelle parole di Marzio, che mette in mostra la parte più tenera del suo essere guerriero. 

E così, conclusa la carriera agonistica, Marzio che è un uomo riconoscente, e che se potesse vendere l’umiltà a peso sarebbe milionario, torna alle origini per restituire alla sua terra quello che aveva ricevuto da essa. Nel 2012 insieme alla sorella Sabrina acquista 15 ettari di terreno in località Piadera nel Comune di Fregona, a 400 mt sul livello del mare, dando vita all’ Azienda Agricola San Maman, nome tratto dalla piccola chiesa lì vicina. Produce dell’ottimo vino biologico sulle cui bottiglie risalta l’amato asinello. In particolare, un prosecco che da queste parti è di livello pregiato, a cui ha dato il nome AMETS che in basco significa Sogno. Un sogno che fin da piccolo era quello di stare in mezzo alla natura. 

I suoi asini sono sempre con lui, col tempo sono aumentati e ne ha più di quaranta. Adesso lo aiutano nei campi, tenendo l’erba corta e concimando il terreno, e chissà, forse adesso gli insegnano tutti i segreti per essere un ottimo contadino. Se passate da quelle parti, salite fino alla sua azienda. Siamo sicuri che vi offrirà un buon prosecco, qualche fetta di salame e del pane. Farà due chiacchiere con voi, poi, vi lascerà tranquilli ad ammirare il paesaggio mentre lui tornerà a lavorare nei campi. In compagnia dei suoi asini.

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