Cesare Benedetti

L’arte dentro e fuori dal campo di calcio: la storia di Cesare Benedetti

Spesso si paragona un colpo di genio, un tocco di pregevole fattura, una giocata improvvisa a qualcosa di artistico, ad una pennellata pittorica, a un colpo di scalpello. Sport e arte vanno di pari passo, a braccetto, a volte sono proprio l’uno all’interno dell’altro. Storie che si intrecciano, si mescolano, donano anima e sudore a vicenda. La vita di Cesare Benedetti vale doppio: una carriera calcistica ai massimi livelli prima e una strada piene di successi nelle gallerie d’arte dopo. 

Cesare Benedetti

Il calcio che diventa arte, l’arte che ospita lo sport in un’epoca dove esprimere se stessi era sicuramente più importante di dare quattro calci ad un pallone, ma la passione chiama ed è affamata. Per Cesare, nato a Treviso il 24 ottobre 1920, la libertà è sin da subito qualcosa di fondamentale e sicuro. I primi anni post bellici non sono semplici. L’Italia e la sua vittoria mutilata faticano a svegliarsi dal coma della Prima Guerra Mondiale. Difficoltà economiche, inflazione galoppante, scioperi nelle fabbriche e l’avvento del fascismo. Quando Cesare è un adolescente tutti si vestono di nero, un solo partito è al governo e l’Italia sta cercando di ripartire con ordine e pugno di ferro. Una strategia che in futuro si rivelerà sbagliata, ma che già all’epoca faceva storcere il naso ai più, nonostante tutti – o quasi – condividevano gli ideali di Benito Mussolini. Nel frattempo, all’età di 16 anni, Cesare esordisce con la maglia della squadra della sua città in una partita contro l’Udinese in Serie C. Benedetti era un difensore massiccio con i piedi educati. La partita d’esordio contro l’Udinese finisce 2-0. È il 26 settembre del 1937, meno di due anni e mezzo l’Italia prenderà parte alla Seconda Guerra Mondiale accanto alla Germania di Adolf Hitler.

Nonostante il Fascismo abbia portato l’Italia in guerra, il calcio non si è fermato come accaduto durante il primo conflitto mondiale e i calciatori hanno continuato, più o meno, a fare il loro mestiere, con tanto di calciomercato. Nel 1940, nonostante la leva militare, Bené, come veniva chiamato, passa al Bologna. Dopo poco tempo il reggimento viene trasferito da Bologna fino in Calabria. Alcuni giorni prima dell’invio del contingente italiano in Africa, Cesare Benedetti viene trasferito all’81º Reggimento poiché il presidente della Roma Edgardo Bazzini aveva messo gli occhi sul talento del difensore triestino. Sono anni complicati, difficili, tristi, spregevoli e lo sport è una parentesi falsa su una realtà sconvolgente. Lo stesso Cesare Benedetti scrive una lettera alla famiglia mentre è in servizio militare:

Svaniscono i sogni sportivi accampati in tenda, armati di fucile, baionetta, munizioni. Marce su marce, dormire per terra; affezionatissimi: cimici e pidocchi. Del mangiare: meglio non ricordare…

Le condizioni di vita sono misere, i sogni sono un lontano ricordo, esattamente come i campi di calcio nonostante la Federazione cerchi di organizzare un torneo tra Serie A e Serie B a cavallo tra il 1943 e il 44. Mentre è a Roma, però, Cesare comincia a sviluppare un amore nuovo: l’arte. E dove svilupparlo e coccolarlo se non nella Città Eterna? Bisognerà attendere fino alla fine del 1945 per vedere debuttare in prima squadra Bené: Roma-Bari, vincono i pugliesi 1-0. Qualche settimana dopo però si gioca il derby a pochi giorni da Natale. I giallorossi vincono 2-1, la sua prova è encomiabile, ma nella capitale rimarrà poco. Passa successivamente alla Salernitana, in Serie A nella stagione 1946/47. Scende in campo ben 32 volte mentre in panchina a dare gli ordini c’è Gipo Viani, un maestro. All’età di 29 anni chiude la carriera a Treviso. Decide di dire basta con il calcio. È il 1949, la Seconda Guerra Mondiale è alle spalle, ma le fatiche rimangono molte anche per un atleta. Treviso, Bologna, Roma e Salerno. Città tutte a loro modo intime e romantiche. Ed è lì che si forma la sensibilità dell’artista. 

Cesare Benedetti
Notturno a Venezia

La cultura per l’arte in casa Benedetti la introduce lo zio di Cesare, Riccardo Rubrichi, grande esperto di lingue antiche e docente di liceo. Lui e Cesare parlano spesso di lingue, arte, filosofia, letteratura. Insomma, sin da piccolo Cesare è circondato dalla cultura e dall’arte, ma viene prima rapito dal calcio. A Roma, durante gli anni giallorossi, frequenta l’Università e si appassiona alla pittura. Tra gli altri intellettuali e artisti, conosce Giorgio De Chirico. Quando appende le scarpette al chiodo, l’unica passione che gli fa battere il cuore è la pittura. Cesare dipinge magnificamente. I soggetti più ritratti da Bené sono donne e papi. Forse due poli che si attraggono, forse due mondi che magneticamente sono uno l’opposto dell’altro, ma tirano verso il loro opposto. De Chirico dirà di Cesare: “Capisce la pittura, sente la forma e sa rendere il volume“.

Il calciatore artista, il pittore con la palla tra i piedi. Cesare Benedetti è stato un buon calciatore in un’epoca malsana e un grande pittore in un periodo d’oro. La sua arte ha rapito appassionati di tutto il mondo e oggi le sue opere sono ovunque; un artista internazionale a tutto tondo, esattamente come il pallone da calcio. La storia di Cesare si intreccia, si mescola come i colori in una tavolozza, tra calcio e arte, quasi a ricordarci che l’uomo non è completo senza arte, cultura e sport. 

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