quelli che il calcio idris

Idris, Quelli che il calcio, Maurizio Mosca: è scomparso il racconto leggero del calcio

Con la morte di Idris, all’anagrafe Edrissa Sanneh, giornalista gambiano naturalizzato bresciano, se ne va una stagione televisiva spensierata e geniale che difficilmente oggi troverebbe spazio nel palinsesto delle rete nazionale. Idris con la sua ironia sulle sue origini e con i continui giochi di ruolo era riuscito a conquistare il grande pubblico del pomeriggio domenicale coinvolgendo con il suo entusiasmo per la Juventus. Un personaggio sui generis, lontano anni luce dalla realtà italiana che in quel periodo vedeva nascere la lega di Umberto Bossi. Iris conquistava perché popolare, semplice, vicino alla gente. La sua ironia creava un paradosso, un vuoto di giudizio ancora lontano da essere compreso per quell’Italia che lottava tra Mani Pulite e il leghismo.

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Non si può non parlare di chi ha condotto Idris in questa grande avventura chiamata Quelli che il calcio, Fabio Fazio e Marino Bartoletti, due intelligenti scrutatori della realtà e un pochino oltre. Quelli che il calcio prendeva spunti da uno dei più geniali leit motiv scritti da Beppe Viola ed Enzo Jannacci, canzone che appunto coglieva e sorrideva sulla normalità dei paradossi della vita di tutti i giorni. Un elenco di cose in cui siamo caduti e di cui abbiamo dovuto imparare tutti a sorridere. Da “Quelli che da tre anni fanno un lavoro d’equipe” a “Quelli che quando perde l’Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio e poi vanno a casa e picchiano i figli“. Scene di disperazione quotidiana, vissute col sorriso sulle labbra. Così Quelli che il calcio conquistò popolarità per la sua capacità di tenere unita la famiglia davanti al televisore: il marito godeva dei risultati in diretta, la moglie si divertiva, i figli con le magliette della loro squadra. 

Un modo di smontare il mito del tifoso anacoreta chiuso in cappella, che sia fatta a gradoni o di solitudini ad ascoltare la radio. Ricordiamo che in quell’Italia capitava la domenica di vedere a passeggio per negozi il marito con una mano alla moglie ed una alla radiolina. Un’Italia ingenua e folkloristica. Un’Italia in cui il calcio era ancora un mistero lontano e allora tanto valeva prendersi un po’ in giro. E così la girandola di umanità che accendeva il pomeriggio di Raidue si componeva di personaggi surreali come come l’astrologo olandese Peter Van Wood, o la stralunato designer giapponese Takahide Sano, il pediatria tifoso della Sampdoria Renato Panconi e l’irresistibile Suor Paola a tifare Lazio, oltre a molti altri volti che si muovevano tra il serio e il faceto. Certo, Quelli che il calcio non era una cattedrale nel deserto, per quanto sia stato folgorante per originalità e scelte dei tempi, ma era l’evoluzione perfetta di un modo di parlare di calcio che ormai appare irraggiungibile. Si pensi ala serie di programmi sui generis animati dal folletto Maurizio Mosca, dove il calcio diventava la scusa per trasformare la televisione in un mix tra Pasolini, il Bagaglino e la commedia dell’arte. Calciomania, in cui trovava spazio la classifica delle canzoni con le scenette più divertenti della settimana calcistica o Guida al Campionato, con l’ormai leggendario pendolino, opportunamente riprodotto e venduto da una ditta di giochi in scatola italiana. Ma pensiamo anche a L’appello del martedì, un’improbabile corte in cui si discutevano i casi legati al campionato come in aula di giudizio con accuratezza che avrebbe fatto impallidire C.S.I.

Ancora però dobbiamo citare il padre di tutte le trasmissioni televisive dell’epoca: il Processo del lunedì. Condotto da Enzo Biscardi, riuniva per lo più gente che di calcio non capiva nulla ma che era pronta a fare polemica gratuita con chiunque. Non è un caso che in quel contesto nascesse proprio il rampante Vittorio Sgarbi (lanciato per la verità da Maurizio Costanzo) che spesso emergeva per la propria acutezza data la poca concorrenza nel programma. 

Un mondo che non ha più séguito nel calcio iper modernizzato e professionalizzato contemporaneo. Oggi il calcio ha altri ritmi, altri modi di essere raccontato. La favola del calcio per grandi e per piccini, è stata sostituita da attenti professionisti che in giacca perfetta ci raccontano le partite di calcio come se fossero l’andamento dei mercati finanziari. Oggi la partita si compra, si guarda e si consuma a casa. Allora i tempi si allungano, si parte alle 20 con riprese pornografiche degli spogliatoi, dove ancora i calciatori non ci sono, ma si possono osservare le loro future armature. La partita alle 20.45, ma non prima di aver sentito almeno un paio di vecchie glorie che parlando con grande professionalità profetizzano che la partita potrebbe finire 1, X o 2. Nulla che molto più simpaticamente Maurizio Mosca non facesse già. Sono i ritmi del business, quelli che impongono l’orario della parità, sfasciano le famiglie come già annunciato da Rita Pavone in un momento di lucidità, ma ora lo fanno tutti i giorni non solo la domenica. Il calcio si veste di professionalità perché così il prodotto si vende meglio. 

Le immagini sono belle, perfette, c’è anche il VAR che ci fa rivedere le cose come sono andate da vicino, anche troppo, mentre un tempo le immagini non le vedevi, te le dovevi immaginare, come in sogno erotico. Le vedevi solo dopo un’ora dopo a 90º Minuto con la dolcezza di Paolo Valenti. Era calcio romantico e lontano, in cui gli allenatori fumavano e i calciatori si tagliavano i capelli da Mohicani. Non sorprende quindi che il calcio oggi sia prodotto televisivo immediato, diretto, senza sogni in mezzo e quindi senza fantasia. Non sorprende neanche che i ricchi sceicchi dei Paesi del Medio Oriente abbiamo chiesto la loro fetta di torta. Agli europei piace questo circo? Noi possiamo farlo meglio. E qui giungiamo al ribaltamento della realtà. 

Da una televisione che adocchiava il calcio, ad un calcio fatto per la telecamera. Gli Emirati lo hanno capito e così stanno costruendo il più grande circo del mondo a forza di petrol dollari. Non è caso che i loro stadi siano più belli, più nuovi e naturalmente perfettamente a favore di telecamera. Oggi non si inventa il calcio, lo si guarda come un bel film, dove gli attori interpretano (o dovrebbero) se stessi in un mondo fittizio. Lo si guarda con la serietà con cui ci si dovrebbe chiedere che ne sarà del Pianeta o della nostra pensione. Come rifletteva l’altro giorno l’amico Paolo Maggioni, giornalista Rainews e scrittore di gialli gustosi, in occasione della scomparsa di Iris: “quanta leggerezza quei pomeriggi di domenica, che bel modo di raccontare il pallone e di andare oltre gli steccati. Creatività, ironia, libertà, vero servizio pubblico“. Chissà quale sarà il futuro del calcio, intanto registriamo che un mondo si è chiuso e chissà dove lo ritroveremo tra qualche anno.

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