tonali zaniolo fagioli scommesse

Lo scandalo scommesse parla di noi

Le rivelazioni di Fabrizio Corona sui casi di scommesse da parte di alcuni calciatori stanno letteralmente facendo crollare a pezzi l’immagine di giocatori, società e procuratori agli occhi dei tifosi italiani. Tonali, Fagioli, Zaniolo, sono fino ad ora i più colpiti, ma siamo di fronte ad un terremoto culturale (e naturalmente penale) che rischia di travolgere buona parte del sistema calcio Italia se non dovesse arrestarsi a pochi casi. La questione è complessa e affrontare un ragionamento non è semplice, a meno di cadere in facile banalizzazioni di cui, ahi noi, i media tradizionali sembrano non riuscire a non nutrirsi. Per affrontare la quesitone in modo oggettivo e poter fare alcune riflessioni che magari possano spingersi oltre il calcio bisognerebbe dividere prima di tutto l’intera faccenda in due tronconi: tutto ciò che non è illegale da una parte, tutto ciò che pur essendo legale è inopportuno dall’altra. Scindere la riflessione non è un atto da poco per molte ragioni, prima fra tutte quella per cui stiamo affrontando la “tragedia” di (almeno) due ragazzi neanche trentenni che si ritrovano ad uno spartiacque delle proprie carriere che probabilmente deciderà per sempre il loro futuro. È anche se non lo fosse professionalmente lo sarebbe dal punto di vista psicologico. 

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La seconda questione è che tutto ciò che ci siamo imposti per legge di punire (qui si parla primariamente di giustizia sportiva) dev’essere punito in base al famoso principio del Dei delitti e delle pene: tutto ciò che non può essere punito è pettegolezzo. Esecrabile o meno, rimane sempre pettegolezzo. 

Partiamo quindi dall’affrontare la questione legale, anche se in altre sedi di sicuro troverete certezze meglio provate. All’art. 24 del Codice di Giustizia sportiva, che titola non a caso Divieto di scommesse o obbligo di denuncia, si esplicita in maniera per niente equivoca il divieto tassativo per tutti i tesserati di scommettere sugli eventi gestiti dalla FIGC (“società, dirigenti, atleti, tecnici, ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale”). A questo punto viene facile chiedersi: ma siamo così sicuri che solo i calciatori incriminati debbano passare sotto la lente d’ingrandimento della giustizia? Considerato che siamo ad un punto zero della rivelazione, almeno a quanto dichiarato dall’oracolo Fabrizio Corona, viene lecitamente da pensare che potrebbero essere le società le prossime incriminate. Ovviamente, ci sono molti dubbi e coincidenze che lasciano perplessi, ma si sa che una cosa sono gli atti e l’effettiva trasgressione di regole e regolamenti un’altra la presunzione di colpevolezza e di innocenza. Presunzione che non viene certo risparmiata ai calciatori prima citati, ma su questo torneremo. La giustizia ordinaria sta facendo il suo lavoro, ma il timore di alcuni inquirenti e di noi astanti è che oltre alla società si apra uno scenario sulla malavita e su mondi sommersi che fanno capolino, cosa che non sarebbe la prima volta nel mondo del calcio italiano. Anche se qui, per ora, si parla di giocatori che scommettono anche sulla propria squadra ma non di vendita di partite che rappresenterebbe ovviamente un salto di qualità non indifferente.

Tracciato brevemente il primo sentiero e lasciato a chi più ne sa la via legale, arriviamo a quello che ci interessa di più, ovvero tutto ciò di cui la giustizia non si occupa: gli uomini e le loro vite. Scovati, i tre capri espiatori sono stai messi alla gogna e immediatamente passati per il fuoco, rendendo le coscienze di tutti noi linde e vergini come prima di venire al mondo. Vecchio vizio italiano, si brucia il mostro, si passa la festa e si ritorna a farsi i propri affari. Peccato che questa volta si sia toccata una corda scoperta del popolo italiano: la mania di  scommettere, di trovare l’escamotage. Con dei dati allarmanti, come quelli che abbiamo in mano sulla ludopatia, non si può non fare una riflessione generale sullo stato del gioco d’azzardo. Le statistiche sul gioco d’azzardo rivelano che il volume delle scommesse, in Italia, nel 2022 è aumentato del il 21% mostrando che i più accaniti giocatori si trovano tra i 25 e i 34 anni. Un’altro dato interessante fornito dell’Osservatorio sulla Ludopatia è che la Lombardia, con una somma totale di circa 7.200 miliardi di euro è la regione con il più grande volume di spesa. Un dato che lascia indietro Campania, Lazio e tutte le altre regione italiane a dispetto di ogni riflessione folkloristica. Bisogna tener conto che nel giro di affari legato al gioco d’azzardo rientrano tutti i siti online che a vario titolo (dal poker alle scommesse sugli eventi) offrono la possibilità di scommettere a qualunque ora comodamente seduti sul proprio divano. Particolare non da poco che spersonalizza il ludopatico, togliendoli il senso di colpa sociale di entrare in una sala scommesse. Il bombardamento è totale.

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In un libro di qualche anno dal titolo Costretti a giocare, Edoardo Bencivenga analizzava la mania del gioco da parte degli americani. In una racconto dedicato ad una visita a Las Vegas, Bencivenga raccontava di come sia possibile non vedere il cielo passando da un casinò ad un’altro, eliminando quindi il semplice fattore temporale: è buio è notte, c’è il sole è giorno. Saltano i tempi, saltano le routine: sei sempre in gioco. Similmente il gioco online ha cancellato tempi e fatiche, chiudendo nella propria solitudine il giocatore incallito che in fondo sta solo usando il telefono. 

A questo si aggiunga che i siti di scommesse sono tra gli sponsor principali di squadre, programmi televisivi dedicati al calcio e che in qualche occasione addirittura forniscono servizi alle società (dati, statistiche, previsioni numeriche). In un simile contesto culturale e sociale possiamo davvero parlare di casi isolati di malattia da gioco? Possiamo davvero tutti quanti chiamarci fuori da questo scandalo? 

La risposta è ovviamente no, ma non basta. In questa occasione ad essere clamoroso appare, oltre che le cifre di cui sembra si stai parlando, la tipologia di scommessa. Ricordiamo che se i calciatori incriminati fossero incalliti giocatori di poker non staremmo parlando di nulla, al massimo delle loro vite private. Il problema sorge quando scopriamo che hanno deliberatamente trasgredito un codice sportivo che metterà di sicuro in crisi la loro carriera. Cosa può spingere a compiere gesti che rovinano una professionalità spendibile ancora per 10-15 anni? Pensiamo soprattutto a Tonali che questa estate è stato considerato un “caso” per il mercato internazionale. È difficile rispondere senza cadere in banali conclusioni, ma il sospetto che la possibilità di pensarsi liberi da conseguenze abbia giocato un importanza decisiva. 

Dai documenti a nostra disposizione, sicuramente minori di quelli in mano alla magistratura, non appare ancora chiara la dinamica con cui i calciatori scommettevano, pare però che per lo più fosse un’attività online su siti legali e non. Qui torniamo al discorso di prima, la solitudine del peccato, la probabile impunità, la spersonalizzazione del rapporto digitale con le cose, rendono anche un’attività pericolosa un’attività a portata di mano, anzi di indice. Byung-Chul Han nel suo libro più famoso Le non cose, arriva a dire che:

L’uomo senza mani del futuro ricorre solo alle dita. Sceglie invece di agire. Schiaccia dei tasti per soddisfare i propri bisogni. La sua vita non è un dramma che lo spinge ad agire, bensì un gioco.

È ovvio che questi ragazzi accusati di aver trasgredito il loro codice professionale non erano se stessi, non è un caso che lo psichiatra di Sandro Tonali chieda l’infermità mentale per il suo assistito. Non sono gesti di coraggio i loro, di trasgressione: sono un misto di noia e onnipotenza a portata di mano. 

Non possiamo dirci salvi una volta trovati dei colpevoli perfetti, dobbiamo interrogarci se non siamo già tutti malati da dentro. È ovvio che chi ha trasgredito la giustizia sportiva, e forse quella civile, dovrà pagare, anche severamente, ma è altrettanto vero che non ci si può limitare alla punizione, ci vuole una riflessione. Pare dai giornali di oggi che una delle richieste della giustizia sportiva sia quella di indirizzare i giocatori verso un percorso di educazione nelle scuola sulla ludopatia. Ottima idea, bisogna capire come si realizzerà. ma l’idea è ottima. Non spiegare che perdere soldi è uno dei primi sintomi di essere su una strada che porta al ricatto e all’esposizione a mondi poco avvezzi alla regolamentazione legale vuol incoraggiare il gioco tanto quanto proporlo come fonte di svago durante lo svolgimento di una partita. Quello che sta accadendo ci racconta un mondo vizioso, e fin qui siamo nel campo morale, ma soprattutto un mondo di giovani che non percepiscono il rischio di esporsi a ricatti e compromessi. Esclusa in maniera categorica l’arricchimento per chi già è oltre la ricchezza, le motivazioni si fanno psicologiche: l’appagamento del proprio ego, la cura della propria autostima. Se questo problema attanaglia dei giovani belli, ricchi e talentosi, allora forse è il caso di riflettere con calma sulla faccenda in attesa di conoscere i dettagli delle circostanze e le conseguenze. 

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