simone inzaghi inter

Inzaghi si sta trasformando nel Caudillo che serve all’Inter?

La stagione calcistica appena cominciata è stata ricca di sorprese, sorpresone e qualche dubbio amletico. Se le squadre più attese del campionato italiano hanno quasi tutte deluso, chi più chi molto meno, a riprendersi la scena sono state le realtà più provinciali. Attenzione a dire piccole squadre, ormai nel calcio moderno la grandezza si misura in nano secondi. Più breve della durata dei carburatori accettabili per la famosa Area C milanese, la grandezza delle squadre (ma ovvio anche dei giocatori) è misurata in annate se non in semestri, proprio come i ricavi delle multinazionali. Accelerazione quantistica del calcio che, ponendosi sempre più su scala mondiale in ogni passaggio, condensa in attimi la gloria di campioni e team, riducendola spesso al famoso quarto d’ora di Andy Warhol. Ma se qualcuno avesse dovuto scommettere qualche euro su una squadra italiana pronta a chiedere vendetta avrebbe puntato di certo sull’Inter. Seconda in modo autolesionistico lo scorso anno, quest’anno in molti guardavano con attenzione alla squadra nerazzurra come la “schiacciasassi” del campionato. Premesso che parliamo dei problemi dell’Inter dopo due straordinarie partite contro il Barcellona e alcuni risultati positivi in campionato, dobbiamo giustificare la premessa teorica di questo articolo per poter liberamente svolgere il pensiero previsto. Esclusi l’exploit del Napoli, caso davvero imprevisto da tutti i commentatori, e i casi a se della splendida realtà Udinese e dell’arcigna Atalanta, sembrava proprio l’Inter, pur con dei paletti, la squadra deputata a riprendersi un campionato che per statistiche le sarebbe spettato (forse) anche lo scorso anno. Ma allora che cosa è successo in casa Inter durante l’estate e poi con il cominciare del torneo di Serie A?

simone inzaghi inter

Malumori, poche motivazioni, un po’ di pressappochismo, qualche calo di tensione hanno spinto la squadra di Inzaghi verso un posto in classifica che decisamente non le si confà. Tre sconfitte pesantissime che segnano con una imprescindibile freccia rossa verso il basso il percorso di quest’anno della squadra nerazzurra; tre partite diverse però, molto diverse tra loro. Se viene difficile recriminare qualcosa all’Inter nella sfida con la Lazio (la squadra bianco celeste è davvero imprevedibile e quando è in giornata diventa un osso duro per chiunque), molto ci sarebbe da dire delle sconfitte con Milan e Roma. Paradossalmente sono proprio il derby e la partita con l’ex Mourinho a risultare lampanti di una situazione perniciosa, più che la sconfitta contro l’Udinese che tutto sommato si è mostrata squadra compatta rimontando e segnando tre goal dimostrando carattere e gambe da vendere. Se analizziamo le due partite contro Milan e Roma, scopriamo alcune similitudini davvero inquietanti. In tutte e due le partite sono l’Inter è stata prima in vantaggio e poi rimontata, in tutte e due le partire (più lampante il caso con la Roma però) l’Inter ha giocato se non meglio almeno alla pari. Eppure qualcosa è cambiato ad un certo punto.

Se analizziamo i tempi dei goal, scopriamo che sia con il Milan che con la Roma, l’Inter è stata rimontata in meno di dieci minuti: Brozović al 21′ e Leao al 28′, Dimarco al 30′ e Dybala al 39′. Una volta andata in pareggio l’Inter non stata più capace di riprendere le fila del discorso, temporeggiando, giochicchiando, confusa e infelice. Simbolico il gesto di Džeko, autore del secondo goal del 3-2 nel derby, che riprende la palla dalla rete e fa segno di svegliarsi ai compagni. Un torpore psicologico che lascia basiti per primi i tifosi, ma anche i giocatori stessi vittime di un incantesimo incomprensibile.

Ma allora che cosa è successo all’Inter? Cosa sta(va) facendo precipitare i nerazzurri? Le critiche vanno tutte ad Inzaghi, e in parte è giusto, ma perché la colpa é di Inzaghi?

Javier Marías
Javier Marías

Per rispondere dobbiamo aggrapparci a Javier Màrias, il grande scrittore tifoso del Real Madrid che tante parole ha speso sul mondo del calcio. Nel raccontare le differenze di carattere Marìas disegna una vera e propria antropologia dei club e quindi anche di allenatori, giocatori e tifosi. “Non è soltanto questo, ma anche una quesitone di stile: gli uomini delle squadre cambiano nel giro di pochi anni, come cambiano gli attori quando diventano vecchi” diceva Marìas, dando un carattere specifico ad ogni squadra: il Real classico come un Hitchcock, il Barcellona drammatico come un Rossellini e così via. Anche l’Inter ha un carattere specifico, che guarda caso dà il suo meglio quando incontra degli allenatori con caratteristiche ben delineate.

Se guardiamo all’Inter del dopo guerra sono fondamentalmente tre i grandi “condottieri” nerazzurri: Helenio Herrera, Roberto Mancini e José Mourinho. Escludiamo da questa lista grandissimi nomi, tra cui quello di Giovanni Trapattoni che vinse all’Inter un solo scudetto ma da record, ma tre soltanto sono gli allenatori ad aver vinto più di un titolo in nerazzurro. Analizzando il carattere di questi tre allenatori è lampante come siano stati, con caratteristiche differenti, tre piccoli dittatori. Se Helenio Herrera era famoso per i ritiri quasi monastici e per le palle colossali, Mancini e Mourinho hanno rappresentato tra il 2004 e il 2010 il perfetto ritratto dell’allenatore sicuro delle proprie idee, testardo, antipatico e, più di ogni altra cosa, dal pugno duro. Anzi durissimo.

Tre allenatori che hanno fatto la fortuna dell’Inter conducendo la squadra con durezza, ma anche proteggendola con la loro immagine forte dalla pioggia mediatica. Curiosamente, oltre ai tre scudetti a testa Helenio Herrera e Mancini condividono anche il ritorno all’Inter dopo essere stati esonerati, mentre Mourinho dopo aver fatto il Triplete ha lasciato il palco da grande attore: sul più bello. Se pensiamo a quelle tre Inter, oltre ai giocatori ottimi, c’era un’idea di squadra ad accompagnare ogni mossa, c’era la convinzione che i loro colori avrebbero dominato il mondo. Trapattoni guidò un Inter travolgente, Conte ha riportato le vittorie, ma anche loro sono noti nell’ambiente come dei piccoli dittatori. Poco inclini al compromesso e al dialogo.

Torniamo a noi: Inzaghi in cosa ha sbagliato fino ad ora? Probabilmente poco, forse nulla, ma una debolezza si può individuare con facilità. Sottolineato anche da molti commentatori sportivi, Inzaghi si è trovato ad inizio campionato con una squadra potenzialmente fortissima ma senza un vero aggregante mentale e di obiettivi. Se nella stagione 21/22 i postumi della Conte mentalità erano ancora vivi e vegeti, in questo campionato sembra essere venuto meno proprio quella spinta ideale che conduceva quella squadra. Aggiungiamo che, alle riflessioni sempre apparentemente un po’ fumose sulla “mentalità”, Inzaghi si è ritrovato senza Perisic (suo vero capolavoro lo scorso anno), e con due infortuni apparentemente insostituibili (Lukaku e Brozović), oltre che con il problema di un portiere che sembrava per cupezza più Heinrich Böll nelle Confessioni di un Clown che un giocatore di calcio.

Come ha reagito Inzaghi per un paio di mesi? Incerto, mettendoci la faccia ma non capacitandosi di tanta sfortuna, mostrando i propri dubbi per non riuscire a vincere. In molti hanno gridato all’uomo forte, al piccolo caudillo, al grande condottiero, figura centrale per una squadra tattica e forte fisicamente come lo è sempre stata l’Inter. Ed in effetti questa sembrava l’unica possibilità, a meno di un cambio di mentalità da parte di Simone Inzaghi. Ma nel calcio come nella vita, mai dire mai. E Simone Inzaghi ha dimostrato, sta dimostrando con i fatti di essere capace di trasformarsi nel matador che giocatori, tifosi e società cercano. La cartina di tornasole è la parità con il Barcellona, dove la squadra ha dimostrato un carattere, una forza e una determinazione che poco ha da invidiare alle grandi Inter del passato. Ma attenzione, notiamo alcuni particolari concreti artefici del cambiamento. Uno su tutti è l’entrata in campo di Onana, per troppo tempo tenuto fuori a causa del rispetto (sacrosanto, intendiamoci) per Samir Handanović. Il portiere camerunese ha portato una ventata di energia, di positività, di fantasia che ha subito giovato all’ambiente e ai compagni sul terreno di gioco. Non impeccabile su ogni palla, però ha dimostrato di essere uno che crede ad ogni palla, che spera in ogni lancio, che se la sente su ogni uscita. Anche quando magari è imperfetto.

Onana ha anche allungato il campo: il fraseggio classico dal basso non è diventato un imperativo. La palla si può lanciare anche oltre centrocampo e con due attaccanti quasi classici per movenze e fisicità, spesso questo lancio può diventare un invito al goal. Vedi appunto al Camp Nou. Un’altra grande cambiamento che Inzaghi ha portato è stato quello di responsabilizzare alcuni giocatori, affidandoli la fascia o un reparto. Vedi Škriniar e vedi Çalhanoğlu: rinati e fondamentali nelle ultime partite.

Un ultimo aspetto invece riguarda strettamente l’atteggiamento e quindi la tanto proclamata mentalità. Bisognerebbe avere una soggettiva solo sulla panchina di Inzaghi. L’aggressività nella panchina nella sera del Camp Mou è memorabile, si fa addirittura ammonire Inzaghi da quando sbraccia e urla soprattutto dopo un recupero finale estenuante e forzato. Ma è una dichiarazione a farci percepire il cambiamento:

Il problema del Barcellona è che ha trovato l’Inter, qui in Spagna si ricorderanno per molto tempo di noi.

Simone Inzaghi

Non è l’Inzaghi modesto, equilibrato, sottotono di altre occasioni. Questa volta è l’allenatore dell’Inter a parlare, quello che l’Inter necessità: il caudillo. Con un po’ della sbruffonaggine di Mourinho, un po’ della certezza di Conte, un po’ la malizia di Mancini, Simone Inzaghi si è andato a prendere il suo posto di comandante dopo solo qualche sbandata. I giocatori dimostrano fiducia, dopo che i tifosi non l’hanno quasi mai persa, Bastoni dichiara che ci sono voluti alcuni passi indietro e un po’ di autocritica, ma che la squadra e lo spogliatoio sono sani.

Il post Salernitana lo dimostra: aiutati da un avversario non invincibile, Inzaghi fa squadra fotocopia. Il messaggio è chiaro: comando io e mando in campo la stessa squadra che battuto il Barcellona. Difficile immaginare il percorso dell’Inter in questa stagione sia in Campionato che in Champions League; appare evidente che il potenziale è tanto anche se gli avversari molto competiti e agguerriti. Quello che sappiamo di certo è che questo cambio di mentalità, o meglio l’aver ripreso sicurezza nei propri mezzi, potrà portare l’Inter a giocare su un piano di parità le grandi sfide che l’aspettano dopo la pausa del Mondiale in Qatar.

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